giovedì 26 gennaio 2012

Capitolo 3 - Il Piccolo Principe

Dopo aver portato mia sorella a girare uno spot di pannolini (doveva correre nuda in un castello da quello che mi è stato raccontato, e purtoppo non ho mai visto questa chicca), i miei genitori decisero che era giunto il momento di accogliere un nuovo arrivato in famiglia: così mi materializzai sulla Terra.
Soprannominato da subito "il Principino", ero benvoluto e amato da tutti, servito e riverito, acclamato dai miei sudditi, come un re indiano adorato da tutte le donne dell'Harem in un improbabile film trash girato a Bollywood all'inizio degli anni Novanta; forse devo dare il merito alle mie lunghe ciglia mediterranee, o ai miei occhi sproporzionatamente grandi (mia madre li chiamava "i fanali" per la luce che sprigionavano, come quelli dei cartoni animati giapponesi o dei pupazzi di peluche), abbastanza precoci per un bambino appena nato. Probabilmente dovevo avere uno sguardo sereno e rassicurante e infatti si narra esistesse un unico modo per farmi smettere di piangere: mettermi davanti ad uno specchio fino a quando non mi riconoscevo nell'immagine riflessa.
Mi viene da pensare che se fossi vissuto vicino ad un fiume o ad un laghetto avrei potuto fare la fine del povero Narciso; da bambino anche una piccola pozzanghera potrebbe rivelarsi letale.
I trattamenti esclusivi e le gentilezze della mia famiglia nei miei confronti erano però una questione di sola apparenza: si limitavano a vestirmi bene e a coccolarmi al parco davanti agli altri bambini che ci guardavano invidiosi; per tutto il resto non ero assolutamente viziato. Col tempo imparai da solo a viziare me stesso, mentre loro, 4 anni più tardi, si diedero parecchio da fare con mio fratello.
Dal suo arrivo tutto cambiò per me, rimasi spiazzato come quando ti ritrovi in semifinale a Miss Italia e il conduttore annuncia tristemente che "Per te... L'avventura... Finisce qui.", e dalla regia parte un effetto sonoro fastidioso e sgradevole che ostenta la tua amarezza e la delusione del pubblico in studio.
Prima di questa enorme sciagura la mia vita scorreva tranquillamente e una delle mie prime parole fu un suono in codice non ben definito che significava "prosciutto", all'epoca il mio alimento preferito.
Poi arrivò il giorno del giudizio quando, forse perché a casa non mi sopportavano più, mi portarono all'asilo; non un asilo normale, con le maestre giovani e carine, che si vestono male ma almeno colorate, si truccano e vanno spesso dalla parrucchiera; il mio asilo era gestito da un gruppo di suore brutte e vecchie, non che io abbia mai visto suore belle e nuove di zecca. Posso dichiarare con una certa fermezza che quella scelta fu la mia iniziazione e poi la mia condanna all'ateismo.
Per un bambino l'esperienza dell'asilo è la prima vera prova di vita al di fuori delle quattro mura domestiche in mezzo a nuove persone, e io ne ho solo brutti ricordi. Il primo che mi viene in mente è legato ad un mio amico che lasciava i propri escrementi tra i cespugli del giardino dove giocavamo tutti i pomeriggi e si puliva con le foglie degli alberi mentre noi facevamo da palo; il secondo invece è associato al sacro momento del pranzo in mensa, quando una volta mi rifiutai di mangiare la frittata (che le suore tagliavano con le forbici per servirci più velocemente) e come punizione mi presi una bastonata in testa; poi ricordo quando tentai di rubare dei soldatini di plastica ma me ne pentii subito e li restituii in lacrime afflitto dal senso di colpa (capendo che da grande non sarei mai diventato come Lupin III); o quando ruppi quella scomoda brandina scozzese in cui avrei dovuto dormire durante il riposino pomeridiano, rimanendo steso sul pavimento fino al risveglio di tutti gli altri per la vergogna; un altro brutto ricordo risale ad un pomeriggio in cui ero in bagno ad alleggerirmi dal pranzo e una bambina aprì la porta, e la lasciò spalancata chiamando tutti gli altri che accorsero per guardarmi ed invadere la mia intimità (da quel momento in poi iniziai ad odiare qualsiasi bagno senza la chiave per chiudere la porta, e per fortuna non ho mai sofferto di claustrofobia); ma nella mia mente è rimasto ben impresso soprattutto l'odio che provavo per una suora in particolare, quella che doveva assicurarsi che noi bambini dormissimo durante il pomeriggio: diciamo che se il suo lavoro avesse previsto una retribuzione, lei sarebbe stata certamente licenziata in un baleno, dato che si addormentava sempre prima di noi in un batter d'occhio. Seduta su un vecchio sgabello, con una scopa tra le gambe (la stessa che usavano in mensa contro i "frittatofobi" come me), russava in modo plateale, e io non facevo altro che osservare per tutto il tempo quella sua sagoma ritagliata in controluce, da cui spiccavano un orrendo brufolo gigante sul naso e i peli della barba sulle guance; e comunque sospettavo, anzi ero certo, che segretamente fosse un uomo travestito da suora.
Non c'era un buon rapporto tra me e quei pinguini giganti; ogni piccola burla che facevo diventava un pretesto per lamentarsi con i miei genitori, che però prendevano tutto con filosofia. Almeno davanti a loro, perché poi a casa si vendicavano sul mio povero sederino; ma dopo, se si arrossava troppo, mi spalmavano una cremina bianca e profumata. Forse rimediare in quel modo li faceva sentire meno in colpa. Comunque qualche giorno fa ho scoperto che quella stessa crema la usai per un lungo periodo per idratare anche mani e labbra colpite dal freddo. Spalmarsi in faccia una crema usata sul sedere di un bambino: la vita degna di un vero principe!
Certo, il principe di Markingham Palace, con un nome più anonimo e banale di un qualsiasi Mario Rossi.
Ho sempre sognato di avere 3 nomi come i veri principi; gli altri miei preferiti erano Federico e Francesco (nient'altro che le alternative scartate quando nacqui), ma giustamente "Luca Federico Francesco Marchi" non suonava poi così bene, quindi niente nome regale.
Di carattere non avevo molte doti principesche, ero anzi molto ribelle: un giorno, pur di farmi togliere quelle odiose scarpe per correggere i piedi piatti, approfittai della presenza dell'imbianchino per immergermi in un secchio di vernice che aveva sbadatamente lasciato per terra, per sporcare tutti i vestiti e farmeli cambiare; l'azione più intelligente da fare sicuramente, dato che le scarpe, non essendosi sporcate, rimasero l'unica cosa invariata del mio abbigliamento seguente, ed io ottenni solo tante sculacciate. E poi la cremina contro l'arrossamento ovviamente.
Si poteva dire tutto di me, tranne che mi mancassero originalità e creatività; senza ombra di dubbio.
Crescendo sviluppai più intensamente altri rari talenti, come quello di mangiare la pizza togliendo prima tutta la mozzarella, o il panettone scartando tutte le uvette per poi ingoiarle a parte in un unico boccone.
Lo ammetto, non davo l'impressione di essere un bambino molto normale. Ma questi racconti si basano soprattutto sui ricordi dei miei genitori, e vorrei sottolineare che quei due si conobbero in un negozio di polli.
...In che senso?
Luke.