lunedì 16 aprile 2012

Capitolo 4 - La Pozione D'Amore

Ognuno di noi, nel corso della propria infanzia o adolescenza, ha avuto un periodo pseudo mistico; è inutile negarlo perché sarebbe una bugia enorme. Una menzogna grande come "La madre di Britney Spears ha scritto davvero i libri che hanno il suo nome in copertina!" per intenderci, o come "Il fondoschiena di Jennifer Lopez piace a tutti e noi siamo felici di vederne ostentato l'orgoglio in ogni suo video!" per essere ancora più chiari.
Ora abbandoniamoci ai ricordi e proviamo a ricostruire la drammatica situazione: c'era chi credeva di poter spostare gli oggetti con un solo movimento della mano o uno sguardo agghiacciante, chi era convinto di riuscire a prevedere il futuro semplicemente immaginando qualche zoomata sui propri occhi seguita da imbarazzanti effetti sonori, o chi pensava di saper scrivere un incantesimo usando un finto accento latino sentito per caso in qualche film orribile girato completamente in chroma key.
Poi c'era chi, come me, credeva di possedere tutte queste magiche abilità.
Sono certo che, in un preciso periodo, le prove tangibili delle mie esperienze soprannaturali erano diventate così numerose che ebbi la brillante idea di scriverle tutte in una specie di diario.
Purtroppo (o per fortuna) ritrovai quel quaderno pieno di fogliettini sparsi e la maggior parte dicevano qualcosa come "Oggi ho avuto una premonizione mentre la maestra interrogava Fabrizio in geografia! Ho scommesso che stava per chiedergli la Cina. E lei gli ha chiesto la Cina!". Davvero difficile da prevedere quando si avevano solo 2 pagine da studiare per quel giorno.
Oppure c'era il must radiofonico: "Oggi ho avuto un'altra premonizione! Ho pensato alla canzone Crazy di Britney Spears e dopo pochissimi minuti l'ho sentita alla radio!". Ovviamente si trattava del periodo in cui il singolo era appena uscito, per cui la casa discografica aveva pagato fior di quattrini pur di farlo passare ad ogni ora e incrementarne le vendite. Al tempo, però, ero poco istruito su queste corrotte strategie di marketing per capirlo da solo.
Seguì poi il periodo X-Files, in cui sospettavo continuamente di essere circondato da extraterrestri volenterosi di rapirmi, con le sembianze dei miei genitori e addirittura del mio cane; i miei sospetti mi portavano a fingere di andare in un'altra stanza (sottolineandolo palesemente con un "Vado di là!" quasi gridato) per rimanere invece in segreto ad ascoltare i loro discorsi o ad osservarli, impaziente del momento in cui si sarebbero tolti la maschera e rivelati come mostriciattoli verdognoli. (Quanto è orribile l'aggettivo "verdognolo", soprattutto accostato al sostantivo "mostriciattolo"! Li ho lasciati entrambi però, altrimenti non avrei potuto scrivere questo piccolo appunto linguistico.) E poi li spiavo tantissimo dal buco della serratura, ma mi facevo sempre scoprire.
Nonostante capii di esser stato suggestionato e manipolato ancora una volta dai media, non mi arresi e diedi il meglio di me in un altro ambito. Infatti toccai ufficialmente il fondo e giunsi all'apice dell'assurdo con le pozioni magiche. Accadde nel periodo in cui Halloween era la mia festa preferita perché dava quel tocco di alternativo in più ai teenager con l'acne, e la mia passione per i film a tema esplose completamente, seguita dall'amore per qualunque feticcio sul genere strega, mago, o incantesimo, per ricordare i meno imbarazzanti.
Le bollivo nei tegami in cui mia madre preparava da mangiare, e infatti non riesco a spiegarmi come sia possibile che non abbiano mai dovuto ricoverare d'urgenza nessuno di noi per intossicazione alimentare.
Devo ammettere che mi dispiace non essere riuscito a trovare alcuna traccia concreta di queste pozioni; è molto probabile che mia madre, disgustata, abbia buttato via tutto nel disperato tentativo di riordinare la camera approfittando della mia assenza. Ma i ricordi di questa folle demenza sono così chiari da non poter permettermi di sperare ancora in un equivoco.
Avevo fatto qualche tentativo amatoriale, ma la ricetta meglio riuscita (e poi collaudata) era un intruglio d'amore molto efficace.
Un pomeriggio decisi di prendere gli ingredienti più significativi che trovai a mia disposizione: decapitai le rose che mia nonna aveva piantato in giardino (in quel momento le cascate di petali mi ricordavano terribilmente l'entrata trionfale della sposa durante il matrimonio, quando deve camminare lentamente fingendosi emozionata e tutti gli invitati sono costretti a scomodare i propri colli per osservarla con finti sorrisi di cortesia; in seguito a questo episodio invece quegli stessi petali diventarono l'emblema dell'ira di mia nonna che mi inseguiva con la scopa in mano); rubai del potpourri dai cassetti della biancheria intima di mia madre (ci voleva qualcosa di profumato dato che le rose sarebbero marcite in un nano secondo durante l'ebollizione, e in più non avevo nemmeno tenuto conto del legame con l'intimità personale che avevo appena sfacciatamente violato per una manciata di fiori secchi); tagliai a metà il burrocacao di mia sorella (solo dopo aver giocato ad allungarlo ed accorciarlo come un idiota per mezz'ora urlando "Pisello moscio... Pisello duro! Pisello moscio... Pisello duro!", ma la valenza simbolica del bacio come contatto tra le labbra era fondamentale per la buona riuscita dell'esperimento, e inoltre i rossetti di mia madre erano di colori decisamente troppo da vecchia per essere usati in questa occasione); mi strappai una manciata di capelli usando delle pinzette per ciglia trovate in bagno (con qualche lacrimuccia di dolore dovuta alla mia inesperienza, ma dovevano servire ad incorporare nella miscela il mio DNA, da mischiare poi con quello contenuto nei capelli della vittima, ovviamente senza aver pensato che non sarei mai riuscito a strapparli a qualcuno con nonchalance e privo di spiegazioni plausibili); poi misi tutto a bollire nell'acqua per un numero imprecisato di minuti, pestando professionalmente gli ingredienti con un utensile di legno.
Filtrai il composto per isolare solo la parte liquida (che nel frattempo aveva assunto un romanticissimo color verde pisello in putrefazione) e ne misi un po' in una boccettina di vetro, sigillata da un tappo di sughero come quelle dei veri stregoni dei film. Mancava solo l'effetto del fumo fuoriuscente che si poteva ottenere col ghiaccio secco, ma al tempo ero davvero un incapace (anche gli esperimenti più recenti confermano questa mia incompetenza in realtà) così lasciai perdere dopo qualche tentativo e risultati scarsi, anzi, praticamente nulli.
Il piano consisteva nel tenere questa bottiglietta in una tasca per una settimana, in modo da averla sempre con me; così, pensando alla vittima e mantenendo un contatto con la pozione tramite la mano (che stringeva tutto nei pantaloni in modo molto equivoco), sarebbe scoccato l'amore.
Provai e riprovai per un lasso di tempo anche maggiore.
Inutile dire che fu tutto fallimentare, un vero insuccesso.
...In che senso?
Luke.

giovedì 26 gennaio 2012

Capitolo 3 - Il Piccolo Principe

Dopo aver portato mia sorella a girare uno spot di pannolini (doveva correre nuda in un castello da quello che mi è stato raccontato, e purtoppo non ho mai visto questa chicca), i miei genitori decisero che era giunto il momento di accogliere un nuovo arrivato in famiglia: così mi materializzai sulla Terra.
Soprannominato da subito "il Principino", ero benvoluto e amato da tutti, servito e riverito, acclamato dai miei sudditi, come un re indiano adorato da tutte le donne dell'Harem in un improbabile film trash girato a Bollywood all'inizio degli anni Novanta; forse devo dare il merito alle mie lunghe ciglia mediterranee, o ai miei occhi sproporzionatamente grandi (mia madre li chiamava "i fanali" per la luce che sprigionavano, come quelli dei cartoni animati giapponesi o dei pupazzi di peluche), abbastanza precoci per un bambino appena nato. Probabilmente dovevo avere uno sguardo sereno e rassicurante e infatti si narra esistesse un unico modo per farmi smettere di piangere: mettermi davanti ad uno specchio fino a quando non mi riconoscevo nell'immagine riflessa.
Mi viene da pensare che se fossi vissuto vicino ad un fiume o ad un laghetto avrei potuto fare la fine del povero Narciso; da bambino anche una piccola pozzanghera potrebbe rivelarsi letale.
I trattamenti esclusivi e le gentilezze della mia famiglia nei miei confronti erano però una questione di sola apparenza: si limitavano a vestirmi bene e a coccolarmi al parco davanti agli altri bambini che ci guardavano invidiosi; per tutto il resto non ero assolutamente viziato. Col tempo imparai da solo a viziare me stesso, mentre loro, 4 anni più tardi, si diedero parecchio da fare con mio fratello.
Dal suo arrivo tutto cambiò per me, rimasi spiazzato come quando ti ritrovi in semifinale a Miss Italia e il conduttore annuncia tristemente che "Per te... L'avventura... Finisce qui.", e dalla regia parte un effetto sonoro fastidioso e sgradevole che ostenta la tua amarezza e la delusione del pubblico in studio.
Prima di questa enorme sciagura la mia vita scorreva tranquillamente e una delle mie prime parole fu un suono in codice non ben definito che significava "prosciutto", all'epoca il mio alimento preferito.
Poi arrivò il giorno del giudizio quando, forse perché a casa non mi sopportavano più, mi portarono all'asilo; non un asilo normale, con le maestre giovani e carine, che si vestono male ma almeno colorate, si truccano e vanno spesso dalla parrucchiera; il mio asilo era gestito da un gruppo di suore brutte e vecchie, non che io abbia mai visto suore belle e nuove di zecca. Posso dichiarare con una certa fermezza che quella scelta fu la mia iniziazione e poi la mia condanna all'ateismo.
Per un bambino l'esperienza dell'asilo è la prima vera prova di vita al di fuori delle quattro mura domestiche in mezzo a nuove persone, e io ne ho solo brutti ricordi. Il primo che mi viene in mente è legato ad un mio amico che lasciava i propri escrementi tra i cespugli del giardino dove giocavamo tutti i pomeriggi e si puliva con le foglie degli alberi mentre noi facevamo da palo; il secondo invece è associato al sacro momento del pranzo in mensa, quando una volta mi rifiutai di mangiare la frittata (che le suore tagliavano con le forbici per servirci più velocemente) e come punizione mi presi una bastonata in testa; poi ricordo quando tentai di rubare dei soldatini di plastica ma me ne pentii subito e li restituii in lacrime afflitto dal senso di colpa (capendo che da grande non sarei mai diventato come Lupin III); o quando ruppi quella scomoda brandina scozzese in cui avrei dovuto dormire durante il riposino pomeridiano, rimanendo steso sul pavimento fino al risveglio di tutti gli altri per la vergogna; un altro brutto ricordo risale ad un pomeriggio in cui ero in bagno ad alleggerirmi dal pranzo e una bambina aprì la porta, e la lasciò spalancata chiamando tutti gli altri che accorsero per guardarmi ed invadere la mia intimità (da quel momento in poi iniziai ad odiare qualsiasi bagno senza la chiave per chiudere la porta, e per fortuna non ho mai sofferto di claustrofobia); ma nella mia mente è rimasto ben impresso soprattutto l'odio che provavo per una suora in particolare, quella che doveva assicurarsi che noi bambini dormissimo durante il pomeriggio: diciamo che se il suo lavoro avesse previsto una retribuzione, lei sarebbe stata certamente licenziata in un baleno, dato che si addormentava sempre prima di noi in un batter d'occhio. Seduta su un vecchio sgabello, con una scopa tra le gambe (la stessa che usavano in mensa contro i "frittatofobi" come me), russava in modo plateale, e io non facevo altro che osservare per tutto il tempo quella sua sagoma ritagliata in controluce, da cui spiccavano un orrendo brufolo gigante sul naso e i peli della barba sulle guance; e comunque sospettavo, anzi ero certo, che segretamente fosse un uomo travestito da suora.
Non c'era un buon rapporto tra me e quei pinguini giganti; ogni piccola burla che facevo diventava un pretesto per lamentarsi con i miei genitori, che però prendevano tutto con filosofia. Almeno davanti a loro, perché poi a casa si vendicavano sul mio povero sederino; ma dopo, se si arrossava troppo, mi spalmavano una cremina bianca e profumata. Forse rimediare in quel modo li faceva sentire meno in colpa. Comunque qualche giorno fa ho scoperto che quella stessa crema la usai per un lungo periodo per idratare anche mani e labbra colpite dal freddo. Spalmarsi in faccia una crema usata sul sedere di un bambino: la vita degna di un vero principe!
Certo, il principe di Markingham Palace, con un nome più anonimo e banale di un qualsiasi Mario Rossi.
Ho sempre sognato di avere 3 nomi come i veri principi; gli altri miei preferiti erano Federico e Francesco (nient'altro che le alternative scartate quando nacqui), ma giustamente "Luca Federico Francesco Marchi" non suonava poi così bene, quindi niente nome regale.
Di carattere non avevo molte doti principesche, ero anzi molto ribelle: un giorno, pur di farmi togliere quelle odiose scarpe per correggere i piedi piatti, approfittai della presenza dell'imbianchino per immergermi in un secchio di vernice che aveva sbadatamente lasciato per terra, per sporcare tutti i vestiti e farmeli cambiare; l'azione più intelligente da fare sicuramente, dato che le scarpe, non essendosi sporcate, rimasero l'unica cosa invariata del mio abbigliamento seguente, ed io ottenni solo tante sculacciate. E poi la cremina contro l'arrossamento ovviamente.
Si poteva dire tutto di me, tranne che mi mancassero originalità e creatività; senza ombra di dubbio.
Crescendo sviluppai più intensamente altri rari talenti, come quello di mangiare la pizza togliendo prima tutta la mozzarella, o il panettone scartando tutte le uvette per poi ingoiarle a parte in un unico boccone.
Lo ammetto, non davo l'impressione di essere un bambino molto normale. Ma questi racconti si basano soprattutto sui ricordi dei miei genitori, e vorrei sottolineare che quei due si conobbero in un negozio di polli.
...In che senso?
Luke.

sabato 31 dicembre 2011

Capitolo 2 - Tagliatele La Testa

Mia sorella perdeva la testa per le Barbie, e loro la perdevano per me. Letteralmente.
Alcuni miti passarono prima dalla ghigliottina, e poi alla Storia; come l'ingenua Marie Antoinette, che si scusò col boia per avergli involontariamente pestato il piede mentre andava al patibolo; o la spiritosa Anna Bolena, che, prima della morte, si complimentò per la fama dell'esecutore, vantando un collo molto sottile; o la plateale Mary Stuart, che si fece tagliare la testa con 2 colpi perché la prima volta non era stata abbastanza efficace da dividerla dal resto del corpo.
Quelle bambole, prima di essere decapitate, avevano a disposizione un ultimo desiderio, che puntualmente sceglievo io dato che non volevano collaborare dicendomelo loro in modo esplicito: un rapporto indimenticabile col mio Action Man, un vero fusto dalle mille doti nascoste.
Poi le Barbie più sfortunate venivano sadicamente trafitte con gli aghi che mia nonna usava per cucire, come se fossero bambole voodoo. Ma dubito di aver conosciuto nella mia infanzia ragazze così favolosamente perfette che quelle Barbie potessero rappresentare; le amiche di mia sorella erano tutte brutte e, peggio ancora, avevano le ascelle pelose e puzzavano inequivocabilmente di sudore quando andavo a salutarle dopo ogni partita di pallavolo a cui ero costretto a presenziare; per cui non le consideravo nemmeno. Eppure Mila e Shiro e quell'odiosa di Nami non sembravano così maleodoranti. Forse Yoghina, la ragazza-armadio, lei sì.
Devo dire che da piccolo, oltre ad essere già un attento osservatore di particolari inquietanti e un severo critico verso gli altri, ero un vero e proprio teppista di strada: rubavo le armi a mia nonna, tenevo in ostaggio le vittime, tagliavo le teste; un bambino prodigio insomma, il Mozart della criminalità organizzata.
Ma ero anche umano e provavo pietà verso alcune potenziali prede; per esempio, la bambola preferita da mia sorella, tale Camilla, era troppo simpatica e cicciottella per essere torturata e finivo col risparmiarla ogni volta. E poi aveva i capelli rossi e le lentiggini sulle guance. E la sottoveste bianca, che chic!
Uno dei pochi vantaggi di non essere figli unici era che, volente o nolente, trovavi sempre qualcuno con cui giocare o da prendere di mira, mentre tutti i tuoi amichetti erano all'allenamento di uno sport per cui tu eri negato o alla festa di compleanno di un antipaticone che non ti aveva invitato.
Mia sorella era il mio passatempo per antonomasia. Una volta le feci addirittura promettere che ci saremmo sposati. Ovviamente non avevo ancora sentito parlare di incesto perseguibile penalmente.
Aveva un'amica, che presto per me divenne il bersaglio numero 1.
Era la classica bambina che tutti odiano ed invidiano allo stesso tempo; quella ragazzina che, se fosse nata in America, poi sarebbe certamente diventata una cheerleader di successo; dopo essersi fatta bionda però. Infatti aveva lunghi capelli neri sempre acconciati dalla madre con pettinature improponibili ispirate alle protagoniste di Beverly Hills 90210, grandi occhi azzurri in cui potevi vedere riflesso il tuo sorriso e scoprire un'eventuale carie nascosta, poi era mediamente paffuta, come Shirley Temple ai tempi d'oro, e soprattutto era l'unica del quartiere a non portare l'apparecchio ai denti. A dire il vero nemmeno mia sorella l'aveva, e nemmeno io. Però tutti gli altri sì, ed è questo che conta: eravamo dei privilegiati. Non come nostro cugino, forzato a portare il baffo, che gli dava delle strane sembianze robotiche.
Insomma, questa sua amica pareva uscita dalla tv. Ma non da una di quelle scadenti serie spagnole a basso budget che sembrano girate tra gli espositori dell'Ikea; da una vera e propria produzione hollywoodiana con almeno 8 stagioni già programmate.
E la sua casa sembrava il set di una di queste serie. Abitava vicino a noi, quindi andavamo a trovarla spesso. Ok, io non c'entravo niente ma riuscivo sempre ad infiltrarmi.
Ricordo che aveva una stanza destinata unicamente ai giocattoli, e la odiavo per questo. Un bambino costretto a dividere la propria cameretta col fratello minore considerava ovviamente inaccettabile che qualcuno avesse tutto quello spazio a disposizione, e non poteva far altro che bramare cotanto splendore. Le cose inutili sono sempre le più ambite nel nostro inconscio da consumisti corrotti del XXI secolo.
Quel magazzino enorme, così pieno di ricchezze da far invidia al laboratorio degli elfi di Babbo Natale, o agli improbabili negozi di giocattoli su 6 piani che si vedono negli originalissimi film per bambini, fu il mio sogno proibito per lunghi anni.
Appena entravi in quella stanza, la prima cosa che monopolizzava la tua attenzione era una casa delle bambole enorme, così immensa che avrebbe potuto ospitare i senzatetto gravidi d'inverno, o fungere da rifugio antiatomico in caso di guerra, e aveva anche una cucina funzionante per i pasti caldi; o almeno, io credevo funzionasse davvero. Non ricordo di aver mai visto il bagno però.
Mia sorella portava lì le poche Barbie che erano rimaste intatte e non sfigurate dal sottoscritto, ma in confronto alle altre dell'amica-principessa sembravano davvero delle poveracce; credo che le bambole stesse si vergognassero di presentarsi al loro cospetto in quelle condizioni.
Le Barbie dell'amica di mia sorella erano delle serie fashion addicted: munite degli accessori più cool della stagione, capelli che per magia o per miracolo non sembravano la paglia di una stalla o il nido di una rondine, una shopping bag in armonia con l'outfit sempre a portata di mano e una voglia irrefrenabile di camminare sui tacchi senza stancarsi mai, tanto da avere il collo del piede già curvo e paralizzato.
Sognavo di poter regalare quelle bellissime bambole a mia sorella un giorno. Ecco, in alcuni momenti desideravo che quella ragazzina viziata fosse una delle tante Barbie di plastica, l'ennesima mia vittima sacrificale.
...In che senso?
Luke.

giovedì 29 dicembre 2011

Capitolo 1 - Potere Alle Ragazze

Il mio primo vero amore furono cinque ragazze, contemporaneamente.
Avevo 8 anni, mia sorella 13, e fu tutta colpa sua.
Ah, e comunque sto parlando delle Spice Girls.
Mia sorella era appena entrata nel mondo delle teenagers; in quegli anni il suo destino era segnato, era pronta ad incarnare perfettamente lo stereotipo della ragazzina anni Novanta: trucco da panda (o da pugile vicino alla sconfitta), capelli rigorosamente frisé da far invidia alle pecorelle di Heidi, zeppe antistupro e antimina, jeans a zampa di elefante con qualche fiorellino osceno ricamato per mettere in risalto i punti giusti, e soprattutto pomeriggi interi a guardare Mtv nella speranza di vedere in onda il video della boy band preferita. Altri tempi insomma, per fortuna.
Non faceva altro, e io ne approfittavo per rubare la sua Barbie più nuova, rasarla a zero e poi decapitarla.
Ricordo che un giorno la vidi sul divano, in atteggiamenti adulatori verso uno strano aggeggio di plastica: la musicassetta delle Spice Girls. Non capivo cosa fosse, ma ovviamente dovevo averla. E così successe.
Quando in casa esiste solo una cassetta non puoi far altro che ascoltarla all'infinito. E tutta quella ridondante sovraesposizione provoca un inevitabile e letale lavaggio del cervello; fui vittima inconsapevole del complotto mediatico e così me ne innamorai.
Le sorelle maggiori ricoprono un ruolo fondamentale durante l'infanzia di un bambino, esercitano una grande influenza, un po' come quelle mocciose sdentate nelle pubblicità dei giocattoli che riescono sempre a convincerci che le scarpette retroilluminanti con due centimetri di tacco siano indispensabili per la nostra esistenza; sapere che a lei piaceva quella cassetta mi faceva sentire in dovere di ascoltarla ancora di più. E la stuprai in ogni angolo della casa, dai nonni, mentre guidavo la bicicletta con le rotelle, quando accompagnavo mia madre al mercato per farmi dare un assaggino di formaggio dai salumieri, durante le noiose gite al mare di domenica, davvero ovunque ed in ogni occasione. Seduto in auto, isolato dagli auricolari del mio walkman blu elettrico, ero convinto di riuscire a capire l'esatta disposizione fisica delle 5 ragazze in studio mentre registravano i brani, perché ovviamente nel mio immaginario avveniva come in alcuni video che avevo visto: tutte insieme appassionatamente, perfettamente in sincrono, intonate, e con trucco, capelli e vestiti impeccabili.
Consumai quella cassetta e un giorno si ruppe. Ero tristissimo, ma per fortuna uscì il loro secondo album, e questa volta comprai il cd, per sentirmi più tecnologicamente avanzato, e poi perché era davvero una rottura dover sempre riavvolgere le cassette o metterci ore per trovare l'inizio di una canzone, che col tempo si storpiava nei punti più consumati del nastro ed il timbro risultava simile a quello di un orco stupido. Comunque in seguito ruppi anche quello: il cd si spezzò in 2 mentre provavo ad infilare un fazzoletto di raso nel buco centrale. Non so perché stessi facendo una cosa del genere; giochi ambigui da adolescenti, presumo.
Uscirono molti libri sulle Spice Girls, e mia madre non me ne volle mai comprare uno. Ma ero fortunato, perché a scuola, nella mia classe, c'era una ragazza che li aveva tutti, e io me li facevo prestare. Un po' alla volta provavo a fotocopiarli, ma, se non facevo in tempo, avevo un piano B: leggevo questi libri ad alta voce e mi registravo con lo stereo, poi, una volta finita la lettura, copiavo i testi con la macchina da scrivere rosso fuoco dei miei nonni, con cui ormai ero un asso. Lo so, un pazzo non sarebbe riuscito a fare di meglio, ma ho ancora quelle registrazioni da qualche parte conservate come reliquia, a meno che mia madre non le abbia buttate nella spazzatura a mia insaputa. In realtà, come è facile comprendere, tutto quel lavoro non serviva a niente; penso si trattasse solo di puro feticismo.
Poi un giorno mia sorella si fidanzò, e presto scoprii che la sorella del suo ragazzo, che aveva (e ha tuttora) la mia età, amava le Spice Girls, e teneva un diario in cui raccoglieva tutti gli articoli di giornale che le riguardassero. In me nacque subito un insano desiderio di competizione e ne feci uno, che doveva essere mille volte più bello: centinaia di pagine di riviste accuratamente ritagliate come nemmeno un serial killer professionista saprebbe fare.
Trascrivevo anche le interviste dalla tv dopo averle registrate su una videocassetta; ogni singola parola pronunciata dalla traduttrice era oro colato per me e andava scrupolosamente riportata. Spesso mi interrogavo anche su come facesse quella misteriosa signora di mezza età senza volto a tradurre così velocemente tutto quello che dicevano con il loro orribile accento British di periferia, e arrivai alla conclusione che barasse in qualche modo; miracoli della menopausa, forse.
Iniziai anche a tradurre personalmente i testi delle canzoni. All'inizio con mia sorella: io cercavo tutte le parole sul vocabolario e poi chiedevo a lei il senso delle frasi, perché per me non ne avevano. Quando capii che mentiva e inventava alcune parole per perdere meno tempo, decisi di fare a modo mio. Imparai l'Inglese da solo così. Grazie alle Spice Girls.
Gradualmente ero diventato un abile ed esperto collezionista senza vita sociale; avevo solo 10 anni.
Poi il gruppo si sciolse e tornò tutto alla normalità.
Non così velocemente, perché quando appresi la notizia al Tg piansi come una fontana, un po' come fecero mia sorella ed il resto del mondo quando Robbie Williams abbandonò i Take That.
Mi chiusi in camera, mi buttai sul letto e accesi la radio: uno speaker annunciava la notizia, per girare il coltello nella piaga e infierire un po'. Piansi ancora.
Geri era la mia preferita.
...In che senso?
Luke.